2. Palazzo di Clemente della Rovere
25 Marzo 2022Edificato poco prima della metà del XVI secolo (1541-43) per volontà di Antonio Doria, il palazzo, oggi sede della Prefettura e della Città Metropolitana di Genova, sorse su un’area a ridosso della prima cerchia muraria, solitamente priva di costruzioni, e in vicinanza dell’antico convento di Santa Caterina. Passato in proprietà di Giovanni Battista Spinola, del ramo di San Luca, Duca di San Pietro nel 1624, il palazzo giunge al Comune di Genova nel 1876 e, già nell’anno successivo, subirà una importante serie di adeguamenti e modifiche sia per la sistemazione dei nuovi uffici sia per l’apertura di via Roma, che imporrà pesanti demolizioni.
Un committente d’eccezione, Antonio – imparentato con Andrea Doria e, come lui, impegnato negli asientos e insignito della prestigiosa onorificenza del Toson d’Oro da parte di Carlo V d’Asburgo -, che fu tra i primi a importare in città i modelli architettonici rinascimentali, costruendo “largo e con cortile” prima ancora dell’apertura dei cantieri di Strada Nuova. Modelli nuovi, quindi, che trovano compimento nella composizione degli spazi interni ed esterni e delle modalità con le quali l’edificio si pone in dialogo con l’intorno. Un progetto definito, con tutta probabilità dal lombardo Bernardino Cantone, dal 1546 architetto camerale della Repubblica che, di lì a poco, si troverà a lavorare per la realizzazione di molti dei palazzi di Strada Nuova e nel grande cantiere della Basilica di Carignano sotto il coordinamento dell’architetto perugino Galeazzo Alessi. Cuore rappresentativo della dimora è quindi il sistema atrio-cortile cui si sovrappone la galleria loggiata del primo piano, alla quale si accede attraverso uno scalone monumentale a doppia rampa. Una loggia che diviene, per le stanze che vi si affacciano, vero e proprio riferimento compositivo: i vari ambienti, infatti, si distribuiscono senza criteri di simmetria riferendo la propria posizione unicamente in funzione dello spazio di rappresentanza definito dallo spazio aperto del cortile-loggiato. Un dialogo, quello tra interno ed esterno, che viene ribadito anche dalla presenza del giardino, oggi scomparso, che si sviluppava alle spalle dell’edificio, in asse con il cortile stesso, conferendo quindi ulteriore respiro e grandiosità alla costruzione secondo un modello che verrà poi reiterato nelle principali realizzazioni cinquecentesche cittadine (e non solo). Contribuisce a questa dimensione di ampio respiro anche la decorazione che il Doria commissiona ai principali artisti e frescanti del momento: se l’atrio (Marcantonio Calvi, Trionfo di Antonio Doria) e le facciate dipinte (opera di Lazzaro e Pantaleo Calvi, Trionfi degli antichi romani) sono infatti connotate da episodi di battaglie e riferimenti alle glorie militari familiari, è nel loggiato e, soprattutto, negli ambienti interno del primo piano che si nota ulteriormente l’attenzione del committente per le “ultime novità”. Sulle pareti della loggia, Aurelio e Felice Calvi realizzano vedute prospettiche di città, un modello decorativo unico nel genovesato seppur condiviso delle più aggiornate e colte committenze dell’epoca.
La sala principale e il salotti contiguo sono connotate invece da due opere di mano di Giovanni Cambiaso e del giovane figlio Luca: Apollo che saetta i Greci alle porte di Troia e Ercole in lotta con le Amazzoni rielaborano le novità michelangiolesche e quelle portate dal Beccafumi e Perin del Vaga nel cantiere di Fassolo.
Il passaggio agli Spinola segnerà l’inizio di un’ulteriore fase di grande interesse per l’edificio: è infatti per Maria Spinola, vedova di Giovanni Battista, che nel 1635 Bartolomeo Bianco costruisce una loggia sul lato di levante: demolita nel 1877 in conseguenza dell’apertura di via Roma, venne affrescata da Giovanni Battista Carlone e definiva, anche dal punto di vista decorativo – con la narrazione delle Imprese di Ambrogio e Federico Spinola – il principale spazio di rappresentanza nel quale veniva esposta la grande e ricca collezione di dipinti della famiglia che, come sappiamo da un inventario recentemente emerso tra le carte d’archivio, aveva dedicato grandissimi sforzi e ingenti capitali anche nella scelta di arredi e suppellettili.
Un committente d’eccezione, Antonio – imparentato con Andrea Doria e, come lui, impegnato negli asientos e insignito della prestigiosa onorificenza del Toson d’Oro da parte di Carlo V d’Asburgo -, che fu tra i primi a importare in città i modelli architettonici rinascimentali, costruendo “largo e con cortile” prima ancora dell’apertura dei cantieri di Strada Nuova. Modelli nuovi, quindi, che trovano compimento nella composizione degli spazi interni ed esterni e delle modalità con le quali l’edificio si pone in dialogo con l’intorno. Un progetto definito, con tutta probabilità dal lombardo Bernardino Cantone, dal 1546 architetto camerale della Repubblica che, di lì a poco, si troverà a lavorare per la realizzazione di molti dei palazzi di Strada Nuova e nel grande cantiere della Basilica di Carignano sotto il coordinamento dell’architetto perugino Galeazzo Alessi. Cuore rappresentativo della dimora è quindi il sistema atrio-cortile cui si sovrappone la galleria loggiata del primo piano, alla quale si accede attraverso uno scalone monumentale a doppia rampa. Una loggia che diviene, per le stanze che vi si affacciano, vero e proprio riferimento compositivo: i vari ambienti, infatti, si distribuiscono senza criteri di simmetria riferendo la propria posizione unicamente in funzione dello spazio di rappresentanza definito dallo spazio aperto del cortile-loggiato. Un dialogo, quello tra interno ed esterno, che viene ribadito anche dalla presenza del giardino, oggi scomparso, che si sviluppava alle spalle dell’edificio, in asse con il cortile stesso, conferendo quindi ulteriore respiro e grandiosità alla costruzione secondo un modello che verrà poi reiterato nelle principali realizzazioni cinquecentesche cittadine (e non solo). Contribuisce a questa dimensione di ampio respiro anche la decorazione che il Doria commissiona ai principali artisti e frescanti del momento: se l’atrio (Marcantonio Calvi, Trionfo di Antonio Doria) e le facciate dipinte (opera di Lazzaro e Pantaleo Calvi, Trionfi degli antichi romani) sono infatti connotate da episodi di battaglie e riferimenti alle glorie militari familiari, è nel loggiato e, soprattutto, negli ambienti interno del primo piano che si nota ulteriormente l’attenzione del committente per le “ultime novità”. Sulle pareti della loggia, Aurelio e Felice Calvi realizzano vedute prospettiche di città, un modello decorativo unico nel genovesato seppur condiviso delle più aggiornate e colte committenze dell’epoca.
La sala principale e il salotti contiguo sono connotate invece da due opere di mano di Giovanni Cambiaso e del giovane figlio Luca: Apollo che saetta i Greci alle porte di Troia e Ercole in lotta con le Amazzoni rielaborano le novità michelangiolesche e quelle portate dal Beccafumi e Perin del Vaga nel cantiere di Fassolo.
Il passaggio agli Spinola segnerà l’inizio di un’ulteriore fase di grande interesse per l’edificio: è infatti per Maria Spinola, vedova di Giovanni Battista, che nel 1635 Bartolomeo Bianco costruisce una loggia sul lato di levante: demolita nel 1877 in conseguenza dell’apertura di via Roma, venne affrescata da Giovanni Battista Carlone e definiva, anche dal punto di vista decorativo – con la narrazione delle Imprese di Ambrogio e Federico Spinola – il principale spazio di rappresentanza nel quale veniva esposta la grande e ricca collezione di dipinti della famiglia che, come sappiamo da un inventario recentemente emerso tra le carte d’archivio, aveva dedicato grandissimi sforzi e ingenti capitali anche nella scelta di arredi e suppellettili.
Bibliografia aggiornata post 1998
E. Poleggi, Genova una civiltà di palazzi, Cinisello Balsamo (Milano) 2002, pp. 43-47 (Palazzo di Antonio Doria (1541-1543)).
R. Santamaria (a cura di), Palazzo Doria Spinola. Architettura e arredi di una dimora aristocratica genovese da un inventario del 1727, Recco 2011.
I testi sono stati aggiornati grazie al progetto INSIDE STORIES finanziato a valere sui fondi – Legge 20 febbraio 2006, n. 77 “Misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella “lista del patrimonio mondiale”, posti sotto la tutela dell’UNESCO